Giovedì, 21 Aprile 2022 13:47

L'ULTIMO ROMANZO DI NICOLA BRUNIALTI. "UN NOME CHE NON E' IL MIO"

Scritto da
Valuta questo articolo
(2 voti)

LA RECENSIONE DI FLAVIA BOTTIGLIA

Un quattordicenne viennese, Marcus, imbratta i muri della scuola con una svastica insieme a tre suoi amici e scrive insulti rivolti ad una compagna di classe di religione ebraica. Viene sospeso per cinque giorni. Il giovane rischia una pesante denuncia e la madre, Johanna, disperata, chiede aiuto al nonno, ex preside, che deve intervenire perché questo non accada. Il nonno, Rudolf Steiner, ha ottantasei anni e non ha mai raccontato alle sue figlie di essere ebreo, di aver subito la persecuzione nazista e di essere l’unico scampato di tutta la sua famiglia alla deportazione dal ghetto di Varsavia. Il ricordo di tale abominio per lui è talmente doloroso, che solo sua moglie conosce il suo segreto. Di fronte al comportamento del nipote, Rudolf capisce che è arrivato il momento di rivelare la verità: parte per Varsavia con il ragazzo, deciso a rivelargli la sua storia. Sopravvivere con il peso di quella memoria era stata una condanna per lui. Questa era stata la sua punizione: sopravvivere a tutti quelli che non ce l’avevano fatta, a tutti quei corpi nudi e martoriati che continua a sognare anche a occhi aperti. Sopravvivere senza mai parlare con nessuno di quello che gli era capitato. Con chi avrebbe potuto farlo, d’altronde? Più passavano gli anni e più diminuivano le persone con cui si intendeva. E alla fine, adesso, non si intendeva più con nessuno, nemmeno con sé stesso. L’ultimo romanzo di Nicola Brunialti “Un nome che non è il mio” mette in scena un adolescente ferito dalla separazione dei suoi genitori e un vecchio che non è mai riuscito a guardare in faccia il proprio passato. Tornando nella città da cui è fuggito da ragazzo, Rudolf ritrova Janusz, il suo vero nome, e i ricordi dei genitori, dello zio, della sorella, tutti uccisi dai nazisti, mentre Marcus prende finalmente coscienza della follia dei suoi comportamenti provocatori. Raccontando la storia del ghetto di Varsavia e dei Giusti che rischiarono la propria vita per salvare quella degli altri, Brunialti ci mette di fronte ad una verità ineluttabile: l’uno dopo l’altro stanno scomparendo i testimoni diretti della tragedia della shoah ed è sempre più importante ed urgente dare credibilità ai loro racconti, rinnovarne le emozioni e gli accadimenti, inserire i giovani lettori all’interno di queste terribili tragedie, affinché non si rischi di archiviare e così dimenticare.

Certo, nel romanzo il tema cruciale è la memoria e le nuove generazioni, l’ascesa dell’antisemitismo, il ruolo dei genitori e il sistema scolastico.

Tuttavia, la storia di Rudolf e Marcus pone due riflessioni molto importanti. La prima è che avere memoria di ciò che è accaduto serve a capire quello che sta accadendo e che potrà accadere e dunque servono quelle lezioni della storia che le nuove generazioni non riescono più a cogliere. Penso che questo tema sia centrale nel lavoro di Brunialti che nel suo romanzo precedente “Il paradiso alla fine del mondo” aveva affrontato in maniera molto originale il problema dell’emigrazione ricordandolo ad un paese, l’Italia, che nel corso della sua storia, anche recente, ha visto milioni di suoi cittadini disperdersi nel mondo alla ricerca di una vita dignitosa e che oggi vede i migranti come una minaccia, come mostri di cui aver paura. La seconda riflessione è che avere memoria delle offese subite come persona e come popolo non deve servire a costruire un percorso di vendetta, ma a confrontarsi con la possibilità dell’esistenza del male in ogni uomo e dunque sapere che la via all’umanità è mettersi continuamente alla prova per pensare e realizzare il bene. In un momento storico così nuovamente e ostinatamente disumano come quello che stiamo vivendo, risuona ancora più ricca di senso la voce e l’interrogativo di Primo Levi “se questo è un uomo”. Davvero, è questo l’uomo? Tutto questo è stato fatto dall’uomo?

Nella risposta che cerchiamo di dare a questo interrogativo risiede il senso più alto del romanzo di Brunialti.

Ovvero, che il viaggio indietro nel tempo di nonno e nipote, il viaggio che ognuno di noi può compiere, è indispensabile per richiamare, per rivivere, per chiedere a ciò che è accaduto il perché e far sì che la memoria diventi portatrice di un senso per la costruzione di un futuro di umanità.

 

Nicola Brunialti, Un nome che non è il mio, 2022, Sperling&Kupfer Editore, pp. 379, €16,90

Letto 547 volte Ultima modifica Giovedì, 21 Aprile 2022 13:55
Effettua il Login per inserire i tuoi commenti