Sabato, 11 Luglio 2020 18:15

L’ITALIA RICONSEGNA ALLA SLOVENIA IL NARODNI DOM. LUNEDI’ L’INCONTRO TRA MATTARELLA E PAHOR.

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UNA GRANDE OCCASIONE PER RAFFORZARE L’UNITA’ TRA I POPOLI EUROPEI

Lunedì prossimo, 13 luglio, il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, e il Presidente della Repubblica Slovena, Borut Pahor, si incontreranno a Trieste per commemorare il centesimo anniversario dell’incendio del Narodni Dom, la casa della cultura slovena, incendiata dai fascisti il 13 luglio 1920. 

In un secondo momento i due presidenti si recheranno alla Foiba di Basovizza, per ricordare tutte le vittime degli eccidi. Gli irredentisti sloveni e croati antifascisti fucilati in quel luogo nel 1930 dai fascisti e gli italiani infoibati dal Maresciallo Tito.

Ora, il Narodni Dom è rinato e viene riconsegnato alla comunità slovena in nome di una visione che dovrebbe essere condivisa da ognuno di noi e da ogni partito o fazione politica: l’Europa ed il suo popolo non devono ritornare a quelle divisioni etniche, ideologiche, religiose espresse da un nazionalismo e da una volontà di potenza che ha consegnato milioni di persone all’orrore di due guerre mondiali devastanti per il carico di lutti, di disumanità sistematica, di dolore che hanno prodotto fino al successivo periodo del dopoguerra. I popoli europei devono riconoscere gli uni agli altri le tragedie che hanno vissuto in nome di un destino più alto che è quello della convivenza e della collaborazione.

In questo senso bisognerebbe dare più importanza e rilievo all’incontro che ci sarà lunedì tra i presidenti Mattarella e Pahor, e al suo significato simbolico che non serve solo ad equilibrare e comprendere meglio una parte della nostra storia, ma anche a indicare all’Unione Europea, in un momento in cui assistiamo alla rinascita di politiche di stampo nazionalista e anti democratico, un possibile futuro cammino che vada ben oltre la semplice coesistenza su basi monetarie, finanziarie ed economiche.

Il Narodni Dom venne incendiato nel luglio del 1920 da quel “fascismo di confine” brutale, violento e criminale che proprio a partire da Trieste, città europea per definizione, di scambi commerciali, di incontri di popoli, lingue e culture, iniziò ad annientare la secolare convivenza pacifica tra gli italiani e le altre popolazioni slave.

Lo scrittore Boris Pahor così racconta il tragico evento nel suo racconto “Il rogo nel porto”: “Tutta Trieste stava a guardare l’alta casa bianca dove le fiamme divampavano a ogni finestra. Fiamme come lingue taglienti, come rosse bandiere. (…) Gli uomini neri intanto gridavano e ballavano come indiani che, legata al palo la vittima, le avessero acceso sotto il fuoco. Ballavano armati di accette e manganelli”. Da quel momento il fascismo diede inizio alla bonifica etnica. Lo fece sciogliendo le organizzazioni slovene e croate, proibendo l’insegnamento scolastico e perfino l’uso privato delle lingue slave, italianizzando cognomi e toponimi, costringendo gli slavi all’emigrazione. Per mezzo della violenza e della pulizia etnica il fascismo rese concreto quel processo di nazionalizzazione del popolo italiano che era iniziato con la grande guerra, con il mito di Trento e Trieste che diventarono il simbolo della compiuta unità d’Italia e della stessa identità italiana. Il Patto di Londra consegnò all’Italia la Venezia Giulia e parte della Dalmazia. Insieme al mito della vittoria mutilata, che diede lo spunto a Gabriele D’Annunzio e ai suoi legionari per compiere, tra il 1919 e il 1920, l’impresa di Fiume. Fallita l’impresa del vate, la Jugoslavia, Stato consolidatosi e riconosciuto nell’ambito dei trattati di pace di Parigi, nel 1924 diede Fiume all’Italia nell’ambito degli accordi di Roma, in cambio della Dalmazia ad eccezione di Zara. Circa 500.000 sloveni e croati entrarono a far parte del Regno d’Italia e furono oggetto del processo di fascistizzazione iniziato con l’incendio del Narodni Dom.

Con la Seconda guerra mondiale si rafforzarono ancora di più tutti i motivi che portarono alla vendetta degli slavi contro gli italiani.

Nel 1941 Germania, Italia e Ungheria occuparono la Jugoslavia. L’Italia si appropriò della provincia di Lubiana e della Dalmazia, italianizzandole. Occupò militarmente la Croazia e il Montenegro.

Al tentativo di reazione dei partigiani jugoslavi, seguirono rastrellamenti, devastazioni, deportazioni nei campi di concentramento di Arbe e di Gonars, i più famosi, in cui morirono di fame e di stenti migliaia di civili jugoslavi, come testimonia il documentario “Fascist Legacy” realizzato e mandato in onda nel 1989 dalla BBC.

Dopo l’armistizio del 1943 Trieste, Gorizia, Pola e Fiume vennero occupate dai tedeschi, mentre le altre regioni della Jugoslavia dai partigiani guidati da Tito. Il Movimento di Liberazione della Jugoslavia che diede vita al nuovo Stato Jugoslavo proclamò l’annessione della Venezia Giulia, di Zara e di Fiume, dando inizio a quel processo di epurazione degli italiani, nei territori da loro occupati, in cui trovarono sfogo vendette sociali e personali che costituiranno il dramma delle foibe istriane in cui si inscrive anche il brutale assassinio di Norma Cossetto.

Intanto i tedeschi rafforzarono la loro occupazione del cosiddetto litorale adriatico con sanguinose rappresaglie che coinvolsero anche la popolazione civile. Alla loro azione repressiva collaborarono diverse organizzazioni italiane come l’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza che si occupava di torturare gli antifascisti. A Trieste venne costruito il campo di sterminio della Risiera di San Sabba, dove vennero sterminati dai 2000 ai 5000 ebrei, partigiani, antifascisti.

Nel 1945 la IV armata dell’esercito di liberazione jugoslavo entrò prima degli anglo americani a Trieste e la Venezia Giulia venne divisa in una zona A sotto il controllo degli alleati e in una zona B sotto il controllo jugoslavo. Ma per 40 giorni la Venezia Giulia venne sottoposta all’amministrazione jugoslava ed ebbe inizio la seconda tragica parte dell’epurazione degli italiani, dell’orrore delle foibe. Tutti i rappresentanti dello Stato Italiano, i collaborazionisti, i noti fascisti, ma anche gli autonomisti che si opponevano all’annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia vennero infoibati o mandati nel campo di concentramento di Borovnica. Non solo nella Venezia Giulia, ma in tutta la Jugoslavia si verificarono le stragi delle foibe. Quanti furono gli infoibati non possiamo saperlo con precisione. Quello che sappiamo è che a Basovizza vennero infoibati centinaia di italiani, in gran parte dipendenti della questura di Trieste, e pertanto la foiba di Basovizza è il simbolo delle stragi delle foibe e dal 1992 monumento nazionale. Dopo la conferenza di pace di Parigi e il trattato del ’47 che regolò le questioni italiane, si aprì l’altra grande tragedia degli esuli italiani che furono costretti a fuggire dalla Jugoslavia. Una ferita ancora aperta nelle vite di molti e nella coscienza di una intera nazione che questi esuli non seppe accoglierli e riconoscerli come italiani. Una ferita che oggi, insieme alle foibe, si presta a troppe strumentalizzazioni ideologiche che mirano a riportare indietro la storia costruendo una narrazione di parte, fatta di rivendicazioni e nostalgie nazionalistiche. Non è questa la strada della storiografia. Non è questa la strada della Storia che nella distanza dalla tragicità degli eventi può trovare con imparzialità le cause degli accadimenti dipanandone con chiarezza gli effetti, illuminando e riconoscendo le ragioni degli uni e degli altri. Nel rafforzamento di questa visione sta l’importanza dell’incontro tra i Presidenti Mattarella e Pahor.

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