Mercoledì, 07 Agosto 2019 13:42

POPOLI SENZA STATO. I SAHRAWI

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L’IGNOBILE MURO E L’ENNESIMO FALLIMENTO DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

Quella del popolo Sahrawi è una delle tante brutte storie scritte prima dal colonialismo europeo di fine ottocento, inizi novecento, e poi dal processo di decolonizzazione della seconda metà degli anni cinquanta e degli anni sessanta che pressoché ovunque non ha portato né all’autodeterminazione dei popoli, né alla democrazia, né alla fine dei conflitti, né alla rinuncia dei paesi occidentali delle immense risorse del continente africano ed asiatico dove con la loro influenza militare ed economica sono tutt’oggi i maggiori attori di un diffuso neocolonialismo.

Nel mondo contemporaneo, tenuto insieme da equilibri, alleanze e rapporti che si fondano sugli interessi di questo neocolonialismo, a rimetterci sono quei popoli che pur dotati di una loro storia ed identità non sono riusciti a fondare un proprio Stato in quei territori che pure il diritto internazionale gli assegna.

Le Nazioni Unite riconoscono come Stati autonomi 193 paesi, più due Stati osservatori permanenti non membri dell’ONU, ma che potrebbero presentare richiesta di adesione in qualità di Stato membro facendo ricorso alla Corte Penale Internazionale: lo Stato di Palestina e lo Stato del Vaticano. Esistono poi, undici entità che si sono auto riconosciute come Stato, ma sono prive o parzialmente prive di un riconoscimento internazionale. Tra queste la  RASD, Repubblica Araba Sahrawi Democratica, fondata il 27 febbraio 1976 nel Sahara Occidentale.

Il Sahara Occidentale è un territorio desertico che confina con il Marocco, l’Algeria, la Mauritania e l’Oceano Atlantico, ricchissimo di giacimenti di fosfati e con un mare molto pescoso che, in pieno colonialismo e imperialismo, le Convenzioni di Parigi del 1900 e del 1904 e quella di Madrid del 1912 ad attribuirono alla Spagna. La popolazione Sahrawi, composta di tribù nomadi unite da una stessa lingua, cultura, storia  e religione, vennero costrette alla urbanizzazione e ad uno stile di vita sedentario, sfruttati o cacciati dal loro territorio di appartenenza.

Recita una poesia Sahrawi:

Dove andrai, senza sapere dove?
- Anche se non lo so, lasciami andare
me ne andrò con il vento e non importa lasciare tracce
me ne andrò di nuvola in nuvola anche se non piove
me ne andrò con le stelle anche se non brillano
me ne andrò scalzo e non solo per sfuggire le guerre, l’indifferenza, la fame
l’odio che si nasconde nelle vene,le minacce e le vendette che puntano alle spalle

io sono nomade, sono nato nella sabbia sotto il sole come gli animali
sono libero come il vento, come le carovane che rompono l’immensità, sono libero,
figlio delle terra e della sua grandezza
ho tanti fratelli che voglio conoscere e voglio abbracciare
e soprattutto quelli che lottano per la libertà 

esprimendo molto bene l’attuale condizione di questo popolo che vive una doppia, tragica realtà: privati della loro civiltà e della libertà e senza un posto nel mondo.

I Sahrawi, però, nell’ambito del processo di decolonizzazione, hanno combattuto per avere un proprio Stato libero ed autonomo.  I paesi divenuti indipendenti come il Marocco, nel 1956, e la Mauritania, nel 1960, estesero i loro interessi al Sahara Occidentale ed al posto della Spagna divennero i nuovi colonizzatori. Come ci raccontano le cronache “nel 1964 il Comitato per la decolonizzazione dell’ONU invitò la Spagna a riconoscere l’indipendenza dei Paesi sotto la sua dominazione coloniale. A tale esortazione fecero seguito due risoluzioni, una del 1965 e l’altra del 1966, che introdussero ufficialmente per la prima volta l’invito ad organizzare un referendum tra la popolazione per chiederne il parere sull’indipendenza”. Tale referendum non si è mai tenuto, e se la Mauritania abbandonò ben presto le sue mire sul Sahara Occidentale, il Marocco vi estese il proprio dominio attratto dai giacimenti di fosfati e dalle coste molto pescose. Dopo un periodo di resistenza civile, nel maggio del 1973 il popolo Sahrawi si organizzò militarmente nel Fronte Popolare per la Liberazione del Sague el Hamra e Rio de Oro, il Fronte Polisario che ha combattuto contro il Marocco fino al 1991. Infatti, “nel 1990 il Segretario Generale dell’ONU, Perez de Cuellar annunciò un piano per realizzare il referendum nel Sahara Occidentale. A seguito di esso, con la risoluzione 690 il Consiglio di Sicurezza diede vita alla Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO). Il 6 settembre 1991 Marocco e RASD giunsero al cessate il fuoco. Dal 1991 ad oggi sono 28 anni che il popolo Saharawi aspetta questo Referendum. Tra il 1973 e il 1991 c’è la storia di una sistematica occupazione e annichilimento di un popolo da parte del Marocco: 350.000 marocchini che invadono il Sahara occidentale; il silenzio della Spagna interessata ad avere dal Marocco il controllo dei flussi migratori su Ceuta e Melilla; migliaia di Sahrawi costretti a fuggire sotto i bombardamenti aerei nei campi di accoglienza di Tindouf in Algeria; la proclamazione della RASD, Repubblica Araba Saharawi Democratica con la costituzione di un primo governo e l’avvenimento più ignobile di tutti, la costruzione da parte del Marocco di un muro lungo 2700 Km con presidi armati ogni cinque e contornato di campi minati con 10 milioni di ordigni. In questa epoca di muri, questo è il muro più lungo esistente costruito tra il 1980 e il 1987, ma di cui nessuno parla.

Ed è proprio questo muro il simbolo della sopraffazione e del genocidio ed insieme dell’inutilità dell’ONU e delle istituzioni internazionali nel risolvere tali conflitti.

Sono 28 anni che il Marocco nega il referendum sull’autodeterminazione che pure è sancito dalle determinazioni dell’ONU; il 27 febbraio di quest’anno la Corte di Giustizia dell’Unione europea, chiamata a dare un giudizio sull’accordo di pesca tra Marocco e Unione Europea, ha riaffermato che il Sahara Occidentale non è parte del territorio del Marocco e deve porre fine allo sfruttamento ittico davanti alle sue coste senza il consenso del popolo Saharawi”. Tuttavia nulla cambia ed oggi  qualche migliaio di Sahrawi vivono in una porzione di territorio completamente desertico e privo di risorse controllato dal Fronte Polisario. Proprio di fronte a quel muro e a quei campi minati dove già sono morti a migliaia. Pastori e bambini. Altri, vivono nel Sahara Occidentale occupato, la maggioranza, circa 150.000 persone, nei campi profughi di Tindouf controllati dal Fronte Polisario e la loro sopravvivenza dipende dagli aiuti internazionali delle Nazioni Unite nell’ambito della Missione MINURSO alla quale partecipa anche l’Italia. A questo servono le organizzazioni internazionali.

Allo stato attuale delle cose, allora, quale potrà essere il futuro della RASD?

Ultimamente, l’inviato speciale del Segretario delle Nazioni Unite António Guterres, Horst Kohler, ha presieduto un incontro a cui hanno partecipato i rappresentanti del Fronte Polisario, del Marocco, dell’Algeria e della Mauritania per discutere del destino del Sahara Occidentale e del famoso e mai realizzato referendum. Risultato? Il Marocco non accetterà mai l’indipendenza dei Sahrawi. E nessuno può obbligare la Monarchia nord africana a farlo e ad abbandonare i ricchi giacimenti di fosfati e le acque pescose dell’Atlantico. E allora resta la lotta diplomatica del Fronte Polisario e del governo della RASD che si trova a Tindouf; l’impegno di sensibilizzazione portato avanti da molte associazioni internazionali che continuano ad appoggiare la causa del popolo Sahrawi e a sostenerlo, come il Coordinamento Toscano in sostegno della RASD e tanti comuni italiani con le famiglie che ospitano centinaia di bambini saharawi; la SaharaMarathon, una manifestazione sportiva internazionale di solidarietà con il popolo Sahrawi; la missione ONU rinnovata di sei mesi in sei mesi. Intanto, il muro lungo 2700 chilometri è sempre lì, ennesima vergogna del genere umano.

 

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