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Giovedì, 21 Marzo 2019 14:38

ESEMPI SVOLTI DELLA PROVA DI ITALIANO ASSEGNATA ALLA SIMULAZIONE MINISTERIALE PER L'ESAME DI MATURITA'

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PUBBLICHIAMO, COME SERVIZIO AGLI STUDENTI, DUE ESEMPI SVOLTI DELLA PROVA C DELLA SIMULAZIONE DI ITALIANO

ESEMPIO SVOLTO – TIPOLOGIA C  (Simulazione ministeriale del 19.02.02)

 

RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO SU TEMATICHE DI ATTUALITA’

 

«Bisogna proporre un fine alla propria vita per viver felice. O gloria letteraria, o fortune, o dignità, una carriera in somma. Io non ho potuto mai concepire che cosa possano godere, come possano viver quegli scioperati e spensierati che (anche maturi o vecchi) passano di godimento in godimento, di trastullo in trastullo, senza aversi mai posto uno scopo a cui mirare abitualmente, senza aver mai detto, fissato, tra se medesimi: a che mi servirà la mia vita? Non ho saputo immaginare che vita sia quella che costoro menano, che morte quella che aspettano. Del resto, tali fini vaglion poco in sé, ma molto vagliono i mezzi, le occupazioni, la speranza, l’immaginarseli come gran beni a forza di assuefazione, di pensare ad essi e di procurarli. L’uomo può ed ha bisogno di fabbricarsi esso stesso de’ beni in tal modo.» 

  1. LEOPARDI, Zibaldone di pensieri, in Tutte le opere, a cura di W. Binni, II, Sansoni, Firenze 1988, p. 4518,3

 

La citazione tratta dallo Zibaldone di Leopardi propone una sorta di “arte della felicità”: secondo Leopardi la vita trova significato nella ricerca di obiettivi che, se raggiunti, ci immaginiamo possano renderci felici. Rinunciando a questa ricerca, ridurremmo la nostra esistenza a “nuda vita” fatta solo di superficialità e vuotezza.

Ritieni che le parole di Leopardi siano vicine alla sensibilità giovanile di oggi? Rifletti al riguardo facendo riferimento alle tue esperienze, conoscenze e letture personali. Puoi eventualmente articolare la tua riflessione in paragrafi opportunamente titolati e presentare la trattazione con un titolo complessivo che ne esprima sinteticamente il contenuto.  

 

           

COSTRUIRE ATTIVAMENTE LA FELICITÀ

Una prospettiva possibile

 

titolo e sottotitolo denotativi

 

Una prima idea di felicità - Riflettere sulla possibilità di essere e vivere felici implica il chiedersi come ottenere quella condizione di appagamento e gioia in cui consiste la felicità. Essa, infatti, può porsi come conquista e realizzarsi come un processo dinamico verso il quale ci si deve mantenere attenti e consapevoli. È questa una concezione che riguarda gli esseri umani in generale, ma che è di notevole interesse per i giovani, propensi di solito, per via dell’età, a identificare la felicità in un impertubato stato di benessere.

L’opinione di Leopardi – Le parole di Leopardi, colgono, a mio avviso, aspetti sostanziali:

1°- la felicità si raggiunge prefiggendosi uno scopo ma è, a sua volta, uno scopo, ossia è capace di rendere utile la vita;

2°- la felicità non è il piacere fatuo di spassi e divertimenti di chi è sfaticato e superficiale;

3°- il valore dei mezzi con cui raggiungerla è superiore al valore dello scopo (la pianificazione, le azioni e gli stati d’animo con cui si persegue il fine ne sono, quasi assurdamente, parte integrante);

4°- l’umanità si provvede da sé della felicità, per bisogno.

La mia opinione di ora – Ho della felicità una concezione non dissimile da quella del grande poeta recanatese, perché ritengo che, non essendo un bene connaturato, va praticamente costruita. È, cioè, un portato della vita attiva che, se ha a che fare col riposo –si è più contenti se si è meno stanchi- nondimeno ha forse più a che fare con l’appagamento di chi, raggiunto il suo scopo, può meritatamente riposare. Così, essa non è continua, ma durevole, ovvero permane fino al raggiungimento di un nuovo traguardo. Per es., se ho imparato con le difficoltà del caso a bastare a me stessa nelle decisioni più facili, ottenendone soddisfazione, sarò indubbiamente più soddisfatta quando raggiungerò l’autonomia nelle scelte decisive.

La mia precedente opinione– Avendo vissuto un’adolescenza complicata, pensavo, prima d’oggi, che un’esistenza emotivamente tranquilla o, ancora meglio, l’assenza di emozioni, fosse quanto di più vicino alla felicità. La lettura del filosofo Epicuro mi aveva convinta che serenità e felicità si specchiano l’una nell’altra e si determinano reciprocamente: se sono serena sono anche felice, se sono felice sono anche serena.  

Mi accorsi con gli anni che la felicità conviveva più volentieri con l’amore per la vita. Questa disponibilità dell’animo è culturalmente coltivabile, ma è prima di tutto istintiva. La specie umana tende per natura al piacere eppure impara non per istinto ma con l’esperienza (per prova ed errore, si direbbe) che anche il piacere è strutturato e contradditorio, e che è un concetto molteplice. Così il piacere intellettuale o erotico o artistico o professionale o etico sono realtà differenziate, di cui trattare e fare esperienza partitamente, o forse da sapere distinguere all’interno di un’esperienza complessa di piacevolezza.

La vittoria di uno sportivo, per es., produce una felicità fatta di adrenalina, sentimento della propria abilità, orgoglio di percepirsi unico. Si tratta di una condizione in cui agiscono fattori diversi, accomunati però dall’amore per la vitalità e l’azione funzionali allo scopo.

La “nuda vita”- Tornando alla questione proposta secondo un’ottica precisa, se hanno ragione Leopardi e quanti la pensano come lui, ridursi ad esistere senza obiettivi equivarrebbe a vivere infelicemente, ossia rinunciare ad agire attivamente sulla propria vita, cioè decidendone le mete. Ma la capacità di scelta esige una conoscenza di sé indispensabile a adeguare a sé le scelte. Conoscersi e conoscere è uno dei modi, senz’altro il migliore a detta di Socrate, per vestire la nudità della vita, ma anche per saperla denudare di quanto ostacola la ricerca della felicità e la sua realizzazione.

Conclusione- Questa concezione fondata sulla conoscenza esprime, a mio giudizio, l’equilibrio tra istintualità e coscienza, e se la felicità edenica ci è vietata, possiamo, e i giovani per primi, costruirne un’altra per noi e per gli altri: una felicità che prevede lavoro e fatica né esclude il dolore, ma che, appunto per questo, acquista un valore inestimabile, a prescindere, quasi un paradosso!, dal successo finale.

 

PAROLE N.662, ESCLUSO LA TITOLATURA, PARI A CIRCA QUATTRO-CINQUE COLONNE MANOSCRITTE, IN BASE ALLA GRANDEZZA DELLA GRAFIA

Cappello e presentazione titolata del tema;

presa di posizione

 

occhio al connettivo!

     

     argomento secondo il senso comune

 

 

Esame della convinzione di Leopardi;

distinzione in concetti:

paragrafo per elencazione

 

 

 

 

 

 

Esame della mia convinzione attuale;

litote + perifrasi; enunciazione della tesi

(Rousseau non la pensa così J)

 

la felicità non è perpetua ma rinnovabile

argomento d’esperienza

occhio al connettivo!

 

un esempio

 

 

riferimento al proprio vissuto: l’andamento espositivo è qui accentuato in senso addirittura espressivo e personale

un riferimento culturale

serenità e felicità

 

amore per la vita e felicità

passo dall’esporre all’argomentare

procedimento logicamente induttivo: dal particolare al generale

 

 

occhio al connettivo!

piacere e felicità – approfondimento e chiarificazione

 

un altro esempio e il suo perché argomentativo

 

 

formula di passaggio che ripiega  l’argomentazione e la conduce verso la fine

(nessuno vieta di fare diretto riferimento alla traccia)

 

frasi ad effetto: rovesciamento del senso della “nudità”

riferimento culturale

 

conclusione

(posizione finale e valutazione della sua efficacia pratica)

 

ESEMPIO SVOLTO – TIPOLOGIA C  (19.02.02)

 

RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO SU TEMATICHE DI ATTUALITA’

 

«La fragilità è all'origine della comprensione dei bisogni e della sensibilità per capire in quale modo aiutare ed essere aiutati. Un umanesimo spinto a conoscere la propria fragilità e a viverla, non a nasconderla come se si trattasse di una debolezza, di uno scarto vergognoso per la voglia di potere, che si basa sulla forza reale e semmai sulle sue protesi. Vergognoso per una logica folle in cui il rispetto equivale a fare paura. Una civiltà dove la tua fragilità dà forza a quella di un altro e ricade su di te promuovendo salute sociale che vuol dire serenità. Serenità, non la felicità effimera di un attimo, ma la condizione continua su cui si possono inserire momenti persino di ebbrezza. La fragilità come fondamento della saggezza capace di riconoscere che la ricchezza del singolo è l'altro da sé, e che da soli non si è nemmeno uomini, ma solo dei misantropi che male hanno interpretato la vita propria e quella dell'insieme sociale.»

Vittorino ANDREOLI, L’uomo di vetro. La forza della fragilità, Rizzoli 2008

 

La citazione proposta, tratta da un saggio dello psichiatra Vittorino Andreoli, pone la consapevolezza della propria fragilità e della debolezza come elementi di forza autentica nella condizione umana. Rifletti su questa tematica, facendo riferimento alle tue conoscenze, esperienze e letture personali. Puoi eventualmente articolare la tua riflessione in paragrafi opportunamente titolati e presentare la trattazione con un titolo complessivo che ne esprima sinteticamente il contenuto.

 

 

UNA RIFLESSIONE SU FRAGILITÀ E DEBOLEZZA

Titolo denotativo

 

Il vissuto di una “debolezza” altrui – L’ora di musica al terzo anno di scuola media era attesa con impazienza. Per la mia classe di esagitati era una possibile imitazione del paese di Bengodi o dei Balocchi, durante la quale farsi crudele beffa del nostro mite insegnante alle prese con la vecchia pianola e col tentativo di insegnarci inni giovanili allora in voga. Egli reagiva chiedendoci di osservare la sua proverbiale gentilezza (“Non vedete come sono gentile?”) cui la canaglia rispondeva rovesciandogli in testa il cestino della carta.

 

I miei vissuti di “debolezza”– Da quando faccio anch’io l’insegnante, non faccio che rendermi conto di quanto sia travisata la mitezza, trattata spesso e volentieri come mancanza di carattere.

Infatti, dell’opinione di Andreoli, alla quale mi accordo quasi del tutto, apprezzo particolarmente la denuncia e il rifiuto del rispetto inteso come incutere paura.

La canagliesca condotta dei miei compagni di classe si trasformava radicalmente alle ore di matematica, mentre il professore ci squadrava con occhi gelidi e ci faceva scortare alla lavagna da un gragnuola di espressioni sarcastiche. Era temutissimo e si cospirava contro di lui senza successo.

Fragilità e debolezza rimandano l’una all’altra ma non si identificano – Credo necessario, a questo punto, un chiarimento concettuale. Desemantizzare è forse esercizio pedantesco ma la chiarificazione del linguaggio porta con sé anche quella del pensiero.

Se Andreoli sostiene che si tende a nascondere la fragilità perché la si tratta come debolezza, nella consegna le due condizioni sono poste sullo stesso piano: il che è una forzatura.

La fragilità è la possibilità di spezzarsi, di andare in pezzi; la debolezza è la mancanza d’energia. La prima è inevitabile a causa della nostra mortalità (ci spezziamo, prima o poi); la seconda è curabile.

{Sicuramente è la considerazione di entrambe a consentire la solidale comprensione reciproca tra esseri umani}: dovrebbero essere riferite alla forza di sapersi riconoscere bisognosi, di imparare a chiedere all’altro deponendo l’orgoglio o l’alterigia, di concepirsi e sapersi imperfetti. {La nostra valutazione di noi stessi e degli altri acquisterebbe in larghezza di vedute e crescerebbero il senso civico e la tolleranza, a patto che  la debolezza venga trattata nella sua specificità.} Ovvero, quale impedimento alla realizzazione di un’idea o di un’azione, di un desiderio o di un compito. O, come vuole Andreoli, della serenità. Essa tarla, frena le spinte, obnubila anche il piacere dell’allegria. Perché? Per il fatto che è difficile anche solo accogliere le proprie debolezze (il plurale è forse più realistico); mentre accettare la propria mortalità è ineludibile. Quindi il problema di fondo è imparare a osservarle, vederne l’origine, provarsi a trascendere le debolezze: altrimenti la serenità verrebbe ridotta ad acquiescenza che, sotto la superficie,  è tormento, incertezza, mestizia.

 Seneca prima di Andreoli– L’umanità ha bisogno di riguardo. È Seneca1 a sostenerlo. Mentre respiriamo, stando tra gli uomini, proprio allora pratichiamo la benevolenza (che lui chiama «humanitas»).  Coltivare la mitezza, comprendere e sentire compassione per le debolezze significa essere vivi con di fronte alle nostre debolezze la nostra fragilità/mortalità.

E fa un passo in più. Non solo confessare la propria insufficienza è sinonimo di coraggio ma anche di grandezza; il fallimento, dopo sforzi audaci, è degno di ammirazione, perché sono gli sforzi ad essere importanti, sebbene azzardarli potrebbe significare presunzione, e la presunzione è una debolezza.

L’“uomo di vetro”- Tornando alla questione proposta secondo un taglio preciso, l’essere umano è davvero fatto di vetro?

È un dire comune che i cocci si raccolgono e si rimettono insieme con colle a presa più o meno definitiva e rapida. O che «chi rompe paga e i cocci sono suoi». Siamo fatti di terracotta? Il fango biblico su cui Lui ha soffiato lo spirito?

Vetro o fango, andiamo in frantumi. Innegabilmente.

Conclusione- “Ragazzi, per favore, silenzio … non vedete come sono gentile?”. Era signorile, pallido e magro. Fortissimo. A regolare con cortesia il volume e il tono di voce, a sorridere placidamente ad aggeggiare con quella tastiera disobbediente. Senza volerlo o saperlo, con purezza, mi ha insegnato la forza della mitezza.

Le convinzioni di Andreoli (e Seneca) sono difficilmente attaccabili e, ciò che più conta, amabilmente veritiere.

 

1- Soprattutto nel De tranquillitate animi e nel De ira.

 

PAROLE N.681, ESCLUSO LA TITOLATURA, PARI A CIRCA QUATTRO-CINQUE COLONNE MANOSCRITTE, IN BASE ALLA GRANDEZZA DELLA GRAFIA

Presentazione titolata del tema;

- esordio in medias res (senza introduzione alcuna)

 - esempio funzionale all’esposizione      

    

 

 

 

 

Tratto il mio caso come analogo rispetto al precedente

argomento d’esperienza

 

Esame della convinzione di Andreoli; sua validità; scelta di un primo rilevante contenuto

 

Esempio legato al vissuto di apertura

 

 

 

 

Passo dall’esporre all’argomentare

Precisazioni: parte argomentativa

 

 

 

Ipotesi (finta): in realtà sto affermando

Polemica sulla consegna

 

 

 

 

 

Occhio al connettivo!

Lunga enunciazione della {tesi}, sostenuta da inferenze logiche

 

 

 

 

 

Occhio al connettivo! che introduce una puntualizzazione

 

 

Occhio al connettivo! che introduce una domanda diretta (anima l’argomentazione)

 

Occhio al connettivo! (di natura conclusiva)

 

 

 

 

Riferimento culturale

 

 

 

 

 

 

 

 

L’argomentazione volge verso la fine (nessuno vieta di fare diretto riferimento alla traccia)

 

 

Domande e mancate risposte

 

 

Chiusura ad anello

 

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