Giovedì, 01 Giugno 2017 15:47

ALLA MENSA DI LEONARDO.

Scritto da
Valuta questo articolo
(1 Voto)

Ecco il secondo racconto della trilogia del vino.

Domenica       soldi 47 denari 8

 

Lunedì     s. 35 d. 8

 

carne    

soldi  10

 

candele    

s.   6

vino

soldi  12

 

vino

s. 10

crusca 

soldi    5  

denari 4

crusca 

s.   5 d.4

erba 

soldi  10

 

ricotte 

s.   4 d.4

ricotte 

soldi    4

denari 4

erba

s.   8

melarance 

soldi    3

 

 

 

pane

soldi    3

 

 

 

Caterina, presa la lista per la spesa, raddrizzò la cuffia sulla testa e si strinse lo scialle intorno alle spalle. Borbottava fra sé e sé, quasi a prepararsi a begare coi creditori milanesi. La mattina era luminosa: la luce marzolina, quella che le piaceva perché tiepida e, di primo mattino, sorniona. Camminava ancora speditamente e le si colorivano le guance mentre accennava saluti schivi ma sorridenti, con quell’insopprimibile ritrosia per cui messer Piero la trovò adeguatissima ad allattare e crescere il suo primogenito illegittimo. Così le disse, lui; ma lei sapeva per istinto che era il nome a fargliela preferire: messer Piero amava un’altra Caterina e cercava di serbare qualche avanzo di ricordo di quella giovane e attraente popolana di Vinci, cui Leonardo fu tolto che vagiva per essere dato ad una balia che della madre naturale aveva solo il nome.

Ora era la fantesca[1] che arruffava le stinte penne di vecchia chioccia per ottenere la compiacenza dei bottegai. E quanto le pesava!, Dio solo lo sapeva. Soprattutto quando era il turno del vinattiere, un uomo ombroso, irascibile e spilorcio. Ma oggi di lui non aveva bisogno perché avrebbe spillato il vino del sole. E ne sorrise soddisfatta.Tornò a casa avvilita ma con ancora una settimana di accordi ed era fatta perché lo Sforza[2] avrebbe pagato giovedì a Leonardo la commissione di quel signorile idolo alla sua equestre bravura di capitano e condottiero. Era stanca e fu costretta a rallentare il passo.

Nell’aprire l’uscio il familiare odore delle tinture e della colla di riso le arrivò più sgradito del solito.

Accomodò la spesa e decise che avrebbe preparato il pasto frugale di ricotta e verdura che le era stato chiesto da Leonardo per sé, mentre agli aiuti avrebbe pensato Battista[3]. Semplice e leggero il cibo, ma che il vino fosse buono e ristoratore. E che non manchi mai sulla mensa.

Al vederla arrivare, Leonardo le disse di posare pure che lui avrebbe finito di tracciare quel cartone con sant’Anna, Maria e Cristo bambino. Caterina lo rimproverò bonariamente per i mille oggetti che doveva schivare al suo passaggio. Molle ed orologi, girarrosti atipici e un prototipo di scafandro da palombaro; disegni per lei ripugnanti di matrici di vacca e cuori di porco; rendiconti anatomici e disegni vegetali, alambicchi e cicognole, modelli in piccolo di grosse macchine da guerra costruivano un carosello vivace ma troppo chiassoso: per lei. Per lui erano presenze vitali, balocchi di un gioco privato e senza regole.

Leonardo le faceva di sì col capo, annuiva e borbottava, lasciava ciondolare le mani e infine, immancabilmente, si voltava a guardarla.

E si voltò. Ma la sanguigna gli cadde dalle dita e la guardò con amorosa premura. “Che avete? -chiese- la vostra cera non mi garba punto”. “Sono stanca, non badate a me e seguitate. Il vino è del buonissimo, sentirete che sapore di sole!”. “Al diavolo! non mi corbellate! Che avete, Caterina? Rispondetemi”. “Sono solo stanca. E che volete alla mia età che corra alla corsa coi sacchi? È primavera, si sa che noi vecchi s’accusa il cambio di stagione”. Leonardo s’arrese: “Sia come voi dite, ma vi prego: riposate; penserà Battista a tutto”. Ritornò a concentrarsi su quel cartone tanto che non desinò nemmeno.

Fu proprio Battista a chiamarlo alcune ore dopo. Aveva trovato Caterina priva di sensi, ai piedi della scala che conduceva alla sua stanza da letto. Leonardo corse e le tastò la fronte: aveva la febbre altissima e nel respiro si nascondeva ora un rantolo ora un fischio.

La portarono fin su e la stesero a letto. La bagnarono con compresse d’acqua fredda e le prepararono una tazza di vino aromatico con miele e fichi secchi, cannella, zenzero e scorze d’agrumi. La tazza fumava un profumo delizioso e orientale. Lei aprì gli occhi e disse con un filo appena di voce: “Ve lo dicevo che è il vino del sole…”.

La notte trascorse e Leonardo la vegliava. I ricordi di Vinci e di Firenze lo assalivano, e in tutti, non uno escluso, lei c’era. Era già da allora la sola donna che sapesse capirlo: lo consolò bambino, lo sostenne da giovane, gli teneva compagnia da adulto. Come gli diceva continuamente “gli avrebbe portato l’acqua con le orecchie”. Ricordava con vividezza di quando bambino, di soppiatto, le slegava il grembiule mollemente annodato alla cintola; lei, fingendo sorpresa e ingrossando la voce, gli correva dietro per poi abbracciarlo e stringerlo a sé: “Cosa non farei per te! Ti porterei l’acqua con le orecchie!”. E ricordava con un certo imbarazzo, che invecchiava di pari passo con loro, un lontano ballo di Calendimaggio, quando fu preso da un’inquieta gelosia vedendo che portava tra i seni la fragranza di un rametto di menta selvatica[4], un richiamo quasi edenitico per sguardi maschili sapientemente adescati.

Caterina si mosse e lo chiamò. Era difficile capirla, farfugliava. Leonardo le accostò l’orecchio alle labbra. Capì che gli stava lasciando un piccolo podere nel fiesolano, la vigna del vino del sole.  “O Lionardo, perché tanto pensate? L’amore onni cosa vince che per voi porterei l’acqua con le orecchie”.

Battista di buon ora trovò Leonardo ammutolito e triste, sfatto per un pianto interiore e silenzioso. Lavarono e vestirono la salma.

La cerimonia funebre fu rapida e sobria.

Rientrati, Leonardo volle finalmente assaggiare quel vino fiesolano e riempì i bicchieri per quanti l’avevano accompagnata un’ultima volta.

Il vino del sole era dolce, soffuso di ritrosia e infuso di selvatico. La botte che lo conteneva sapeva di pesca e mandorla.

I presenti lo videro piangere sommessamente e sillabarne il nome, ma nessuno tradì la sua intimità.

Per chi voglia sapere di più su Caterina osservi il viso di sant’Anna e non avrà più niente da chiedere.

 

[1] Si ha memoria di una fantesca di Leonardo di nome Maturina, cui Leonardo lasciò in eredità degli indumenti.

[2] Francesco Sforza; la statua fu abbattuta nel 1499. Costò a Leonardo 16 anni di lavoro.

[3] Battista De Villanis era il discepolo e domestico che accompagnò Leonardo ad Amboise in Francia.

  Francesco I fece dono a Leonardo del castello di Cloux e di uno stipendio annuo di settecento scudi.

[4] Sono debitrice di questa trovata a Carmelina, una graziosissima collega molisana, che a cinquantanni mi raccontava degli espedienti civettuoli  e sensuali di sua madre: un rametto di menta che le profumasse la femminina prosperità, suggerendo il mistero appena promesso dalla scollatura, un primitivo e garbato richiamo di coppia.

 

Letto 1284 volte Ultima modifica Giovedì, 01 Giugno 2017 15:57
Effettua il Login per inserire i tuoi commenti